Si dice che fosse la donna più bella entrata in casa Medici dopo Lucrezia Tornabuoni (madre del Magnifico Lorenzo). Castana, occhi nocciola, pelle d’alabastro, viso di un ovale perfetto, Eleonora di Toledo ha un fisico slanciato e una grazia solenne. È figlia del ricchissimo e potente viceré spagnolo di Napoli e, nella primavera del 1539, a soli 17 anni, sposa il duca Cosimo I di Toscana.
Cosimo è, per via materna, un lontano discendente di Lorenzo il Magnifico e ha per padre un semplice capitano di ventura, il tristemente noto Giovanni dalle Bande Nere. I Medici sono appena tornati al potere e Cosimo, per rafforzare la propria posizione, necessita di contrarre un matrimonio che gli permetta di ottenere agganci politici e risorse economiche. Sarà l’imperatore Carlo V a proporgli Eleonora, visti il rango e il prestigio della famiglia della fanciulla. Essendo di origine quasi regale, la splendida Eleonora (che, tra l’altro, porta in dote un immenso patrimonio) ha diritto a nozze fastose: la celebrazione, in pompa magna, si svolge nella chiesa di San Lorenzo a Firenze ed è seguita da festeggiamenti sfarzosi.
La coppia va a vivere a Palazzo Medici di via Larga a Firenze (oggi Palazzo Medici Ricciardi), per poi trasferirsi nel ben più importante Palazzo Vecchio. Nonostante il loro sia un matrimonio politico, i due scoprono di piacersi molto e finiscono per amarsi alla follia. La duchessa si lega a tal punto al marito da sfiorare, in alcuni casi, la morbosità; come quando, a causa di un viaggio a cui lei non può prendere parte, si dispera così tanto per la lontananza del duca da arrivare a piangere e a strapparsi i capelli in presenza dei cortigiani. Le assenze del marito le vive in attesa delle sue lettere, pretendendo di riceverne come minimo due al giorno. Cosimo, dal canto suo, ricambia con un amore incondizionato e una fedeltà insolita per l’epoca. La duchessa possiede il giusto carattere per affiancare un uomo introverso e impetuoso come Cosimo de’ Medici: è l’unica ad avere un ascendente su di lui e ad alleviare i suoi continui sbalzi d’umore.
Da questa felice unione nascono ben undici figli, tra maschi e femmine e, in un certo senso, ciò giustifica il motto che Cosimo, come da tradizione, ha scelto per Eleonora: « Cum pudore laeta foecunditas », accompagnato dall’immagine di una pavoncella che ripara i suoi pulcini sotto le ali. L’idea della pavoncella è azzeccatissima in quanto la superba eleganza di Eleonora ricorda molto quella del pavone. Proprio a causa di questa sua ostentata superbia (tipica degli aristocratici spagnoli) i fiorentini non l’amano molto.
Raramente la duchessa si mostra in città a piedi e tantomeno a cavallo. Preferisce andarsene in giro chiusa nella sua lettiga foderata di raso verde all’interno e di velluto verde all’esterno, e lì se ne sta, riferiscono i contemporanei, « come in un tabernacolo », senza neanche scostare le tendine per guardare e farsi guardare, distante e inaccessibile. Eppure i fiorentini devono molto a quest’altezzosa spagnola che, nonostante eviti di dare confidenza e non si abbassi al livello dei suoi sudditi, si dimostra molto magnanima nei loro confronti: attingendo alle sue rendite private, elargisce abbondanti elemosine, crea doti per le fanciulle povere, sostiene il piccolo clero. Ai suoi soldi e alla sua volontà devono, inoltre, la costruzione di alcune chiese, di Palazzo Pitti e, soprattutto, del giardino di Boboli.
Eleonora nutre tenerezza per gli animali domestici (possiede due cagnolini, un gatto e un pappagallo) e una passione sfrenata per i gioielli, realizzati per lei da importanti artisti dell’epoca, che ama mettere addosso in quantità. Dotata di stile e buon gusto (soprattutto in materia di stoffe e tessuti), indossa abiti che seguono la pesante e sfarzosa moda dell’epoca ma che si distinguono per la raffinata ricercatezza. Seppur severamente religiosa e rigidamente devota come solo una spagnola del Cinquecento può essere, indulge spesso e volentieri nel gioco e nelle scommesse (soprattutto quelle legate alle corse dei cavalli).
Nell’ottobre del 1562, Eleonora parte con Cosimo per un viaggio verso la Maremma. La duchessa soffre da tempo di tubercolosi e i dottori le consigliano di trascorrere l’inverno nel clima mite della costa. Con loro partono tre dei loro figli: Giovanni, Garzía e Ferdinando ma, durante la sosta al castello di Rosignano, Giovanni e Garzía contraggono la malaria e muoiono uno dopo l’altro. Anche Eleonora si ammala e, essendo già disperatamente provata per la perdita di Giovanni, sul letto di morte le viene nascosta la dipartita di Garzía. Muore a quarant’anni, sei giorni dopo il figlio, a Pisa, il 17 dicembre 1562.
Eleonora di Toledo in vita è stata più volte ritratta da Agnolo di Cosimo di Mariano, meglio conosciuto come il Bronzino, abile ritrattista e pittore tra i più grandi del Manierismo fiorentino. Anche l’allievo preferito di quest’ultimo, Alessandro Allori, ha avuto il privilegio di ritrarre Eleonora, ma il Bronzino resta l’unico ad essere riuscito ad immortalare non solo l’algida bellezza e la fiera eleganza della duchessa, ma anche la sua personalità. Perché basta una rapida occhiata ai suoi ritratti per capire che il soggetto rappresentato è una donna consapevole e orgogliosa del suo status e del suo essere.
Il dipinto più celebre del Bronzino è quello che raffigura Eleonora insieme al figlio Giovanni, realizzato nell’estate del 1545, durante un soggiorno della famiglia ducale alla Villa medicea di Poggio a Caiano. Si tratta di un ritratto ufficiale, oggi conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
Lo sfondo, che a uno sguardo poco attento può sembrare una parete, è un cielo blu scuro che sovrasta una tenuta (probabilmente proprio quella di Poggio a Caiano) che s’intravede in lontananza. Sui volti dei protagonisti è possibile leggere le emozioni che l’artista ha saputo cogliere: lo sguardo di Eleonora, sempre un po’ malinconico, suggerisce la sua alterigia, mentre gli occhietti vispi di Giovanni rivelano l’irrequietezza del bimbo che è forse stanco di stare fermo in posa accanto alla madre. Ma ciò che, a mio parere, colpisce maggiormente lo spettatore è la magistrale maestria del Bronzino nel descrivere i dettagli del suntuoso ed elaboratissimo abito di broccato indossato dalla duchessa, nonché i gioielli tra i quali spicca la preziosa cintura d’oro decorata da una nappa di perle realizzata da Benvenuto Cellini.
A lungo si è creduto che Eleonora fosse stata sepolta con indosso questo vestito, ma all’apertura della tomba si è scoperto che indossava un abito decisamente più semplice che, dopo un lungo e complesso restauro, è stato ricomposto ed esposto nel Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti a Firenze (anche se le fragilissime condizioni in cui versa non ne permettono un’esposizione tridimensionale).
bello leggere queste pagine interessanti, scritte bene e di ARTE. Graie! 🙂
Grazie a te! 🙂