Dopo Giulietta Capuleti, Ofelia è il personaggio femminile più celebre nato dalla penna di William Shakespeare. Protagonista di Amleto, tragedia in cinque atti scritta dal drammaturgo inglese tra il 1600 e il 1602, Ofelia è la figlia di Polonio, ciambellano di Elsinore, capitale della Danimarca, e sorella del cavaliere Laerte. Data la carica ricoperta dal padre, Ofelia risiede a corte dove è amata dal giovane principe Amleto. Anch’ella lo ama, di un amore viscerale, puro, sincero. Ma il padre e il fratello la mettono in guardia dicendole che l’affetto di Amleto non è sincero e la invitano a moderare i suoi sentimenti per lui. Ma Ofelia è certa, in cuor suo, dell’amore che il giovane nutre per lei.
Gli eventi precipitano dopo che una sera appare ad Amleto il fantasma del padre, defunto re di Danimarca. Dal colloquio con lo spettro, il principe apprende che la morte del padre non è stata accidentale come tutti credono, ma è stata provocata da Claudio, fratello del re, quindi zio di Amleto, per impossessarsi così del trono di Danimarca e sposare la regina vedova Gertrude, madre di Amleto. Il principe, allora, giura vendetta, seppur in preda ai dubbi e ai turbamenti. Si finge pazzo e finisce per rifiutare Ofelia (anche per non invischiarla nella meschina trama degli inganni). Poiché si pensa che lo squilibrio del giovane sia da attribuire all’amore che egli nutre per Ofelia, quest’ultima viene costretta dal padre Polonio (che essendo consigliere di corte agisce per conto dei reali) a fare da esca per spiare Amleto.
La fanciulla, divisa tra il dovere di obbedienza al padre e l’amore per Amleto, non ha altra scelta che accettare: all’epoca, le donne non erano padrone assolute delle proprie scelte, essendo soggette all’autorità paterna prima e, nell’eventualità del matrimonio, a quella del marito poi. Durante una conversazione (spiata di nascosto da Polonio e dai monarchi Claudio e Gertrude) Amleto dichiara ad Ofelia di non averla mai amata, la offende e la invita a chiudersi in convento. Ofelia riceve così il primo colpo che la trascina verso il baratro della follia.
« Oh, qual nobil mente è qui sconvolta!
Occhio di cortigiano,
lingua di dotto, spada di soldato;
la speranza e la rosa del giardino
del nostro regno, specchio della moda,
modello d’eleganza,
ammirazione del genere umano,
tutto, e per tutto, in lui così svanito!…
E io, la più infelice e derelitta
delle donne, ch’ho assaporato il miele
degli armoniosi voti del suo cuore,
debbo mirare adesso, desolata,
questo sublime, nobile intelletto
risuonare d’un suono fesso, stridulo,
come una bella campana stonata;
l’ineguagliata sua forma, e l’aspetto
fiorente di bellezza giovanile
guaste da questa specie di delirio!…
Me misera, che ho visto quel che ho visto,
e vedo quel che seguito a vedere! ».
(Amleto, monologo di Ofelia, Atto III, scena I.).
Amleto ingaggia, poi, una compagnia di teatranti che inscenano a corte un dramma simile all’omicidio del padre, sperando così che Claudio si tradisca mostrandosi turbato. Ofelia, seppur distrutta a causa del rifiuto di Amleto, per non contravvenire alle buone maniere, gli permette di assistere alla messa in scena poggiando il capo sulle sue ginocchia come era uso fare all’epoca durante le rappresentazioni curtensi. Intanto il re Claudio si accorge subito della trappola e cerca di tenderne una anche al nipote Amleto. L’epilogo si traduce in un susseguirsi di tragiche morti, tra cui quella della povera Ofelia che, già psicologicamente provata, impazzisce definitivamente dopo aver appreso della morte del padre Polonio, ucciso per errore da Amleto che l’aveva scambiato per lo zio Claudio.
Ofelia chiede udienza alla regina Gertrude, presentandosi così agli occhi della corte e del fratello Laerte in uno stato delirante: canta canzoni dai contenuti poco sensati che alludono al rifiuto d’amore subìto e alla perdita del padre, distribuendo agli astanti erbe e fiori, simboli attraverso i quali si esprime. La morte di Ofelia avviene per annegamento, mentre intrecciava ghirlande di fiori lungo la riva di un ruscello, ma è più probabile che ella si sia suicidata essendo ormai dilaniata dal dolore e preda della follia. La sua morte, pur essendo il momento più significativo del suo personaggio, non viene rappresentata in scena ma viene resa nota al pubblico per bocca di Gertrude:
« C’è un salice che cresce di traverso
a un ruscello e specchia le sue foglie
nella vitrea corrente; qui ella venne,
il capo adorno di strane ghirlande
di ranuncoli, ortiche, margherite
e di quei lunghi fiori color porpora
che i licenziosi poeti bucolici
designano con più corrivo nome
ma che le nostre ritrose fanciulle
chiaman “dita di morto”; ella lassù,
mentre si arrampicava per appendere
l’erboree sue ghirlande ai rami penduli,
un ramo, invidioso, s’è spezzato
e gli erbosi trofei ed ella stessa
sono caduti nel piangente fiume.
Le sue vesti, gonfiandosi sull’acqua,
l’han sostenuta per un poco a galla,
nel mentre ch’ella, come una sirena,
cantava spunti d’antiche canzoni,
come incosciente della sua sciagura
o come una creatura d’altro regno
e familiare con quell’elemento.
Ma non per molto, perché le sue vesti
appesantite dall’acqua assorbita,
trascinaron la misera dal letto
del suo canto a una fangosa morte. ».
(Amleto, Atto IV, scena VII).
Nel 1579, Katherine Hamlett, una giovane donna di Stratford (città natale di William Shakspeare) annega accidentalmente nel fiume Avon. L’evento turba la piccola comunità tanto che molti pensano che il Bardo, allora quindicenne, abbia preso spunto da quest’incidente per la morte di Ofelia.
In Amleto, Ofelia compare in pochissime scene, recitando poche battute. Eppure il suo personaggio è uno dei principali protagonisti del capolavoro shakespeariano nonché uno dei più amati di tutta la drammaturgia del Cigno dell’Avon. Ofelia ha ispirato numerose opere d’arte. Pittori, musicisti, poeti, registi… in tanti si sono lasciati conquistare dall’ingenua, pura, patetica Ofelia, folle d’amore e vittima degli eventi: dal compositore francese Hector Berlioz al cantautore italiano Francesco Guccini, dal poeta francese Arthur Rimbaud che le ha dedicato una poesia al regista Franco Zeffirelli che nel suo film Amleto (1990) ha fatto interpretare il ruolo di Ofelia all’attrice inglese Helena Bonham Carter, fino ad arrivare agli anime e manga Claymore e Ergo Proxy. Persino la scienza non le è rimasta indifferente: Ofelia è il nome con cui sono stati battezzati un satellite di Urano e un asteroide della fascia principale.
Ciò che ha maggiormente ispirato gli artisti, soprattutto i pittori, è la tragica e romantica morte di Ofelia. Nella storia dell’arte degli ultimi secoli, la fanciulla coronata di fiori, delirante o annegata, è uno dei soggetti maggiormente ricorrenti. Autori come Thomas Francis Dicksee e John William Waterhouse la raffigurano più volte, realizzando opere oggi molto note e apprezzate; Pascal Dagnan Bouveret la dipinge mentre fissa lo spettatore con sguardo inquieto, mentre Jules Joseph Lefebvre la rappresenta eterea ed efebica nell’attimo prima di finire nel ruscello. Sarah Bernhardt, una delle più grandi attrici teatrali del XIX secolo che è stata anche una talentuosa scultrice, ha impresso nel marmo il suggestivo volto di un’Ofelia morente.
Ma è del pittore preraffaellita John Everett Milleis l’opera più famosa e carismatica rappresentante Ofelia. Realizzato tra il 1851 e il 1852 e oggi conservato alla Tate Britain di Londra, il dipinto è considerato un simbolo della pittura preraffaellita e del suo approccio alla natura, alla psicologia e ai soggetti storico-letterari. Ofelia è raffigurata supina e rigida, sostenuta e avviluppata dall’acqua, impigliata nella vegetazione e cosparsa di fiori colorati.
La resa dei dettagli è precisa e rigorosa. Nello spazio sono presenti anche un pettirosso, un ratto d’acqua e un teschio; dato anche il forte interesse in epoca vittoriana per il “linguaggio dei fiori”, la flora ha qui una funzione fortemente simbolica e ciò spiega la copresenza di specie – alcune direttamente citate nella tragedia shakespeariana – che non fioriscono tutte nello stesso periodo dell’anno: le rose indicano la bellezza e l’amore; le margherite e le violette simboleggiano l’innocenza e la castità; l’adonide, il salice piangente e le foglie di ortica sottolineano il dolore; i nontiscordardimé invitano appunto a non dimenticare; il papavero con i suoi semi neri è qui simbolo di sonno e di morte. Si riconoscono poi i ranuncoli, la lisimachia violacea, l’olmaria, la fritillaria e la viola del pensiero presenti perché citate nella tragedia o perché il loro simbolismo richiama al dolore e alle virtù di Ofelia.
La tela si sviluppa in orizzontale ed ha i due angoli superiori smussati. L’opera nasce in due momenti distinti: nella prima fase viene dipinto il paesaggio che fa da sfondo, mentre nella seconda viene inserita la figura di Ofelia. Millais realizza lo sfondo en plein air osservando la lussureggiante vegetazione presente ai bordi del fiume Hogsmill, a Ewell, nel Surrey. Quivi rimane per oltre cinque mesi. Quando Millais lascia Ewell, la tela è completata, ad eccezione dello spazio centrale, lasciato vuoto nell’attesa di essere riempito con la figura shakesperiana.
Per la sua Ofelia Millais sceglie come modella Elizabeth Siddal, detta Lizzie o Lizzy, raffinata bellezza dai lunghi capelli rossi e dall’incarnato diafano, musa, moglie e ossessione di Dante Gabriel Rossetti (fondatore della Confraternita dei Preraffaelliti). Nel suo appartamento al numero 7 di Gower Street, a Londra, Millais cerca di riprodurre fedelmente l’annegamento di Ofelia facendo immergere la modella in una vasca da bagno riscaldata da lampade a olio.
Notevole è lo stoicismo con cui Lizzy Siddal continua a posare anche quando durante una seduta il riscaldamento cessa di funzionare. Quest’incidente provoca alla donna una bronchite che le mina definitivamente la già cagionevole salute. Il padre della Siddal ritiene Millais responsabile dell’accaduto e lo minaccia di agire legalmente se non paga di tasca sua le cure mediche necessarie alla guarigione della figlia. Il pittore, dunque, versa un indennizzo di cinquanta sterline.
Ophelia di Millais è stata esposta al pubblico per la prima volta nel 1852 alla Royal Academy of Arts di Londra, ricevendo critiche sia positive che negative. Oggi è una delle opere più amate di tutti i tempi.