Figlia di Demetra, dea dell’agricoltura, e di Zeus, sovrano degli dèi, Persefone è nella mitologia greca la regina dell’Oltretomba. Venerata nell’antica Roma col nome di Proserpina, è anche chiamata Kore. Giovane e bellissima, fu notata dallo zio Ade (Plutone per i romani), il dio degli Inferi, che, invaghitosi di lei e col benestare di Zeus, la rapì mentre raccoglieva fiori al lago di Pergusa presso Enna (Sicilia). Addolorata per la perdita dell’amata figlia, Demetra abbandonò l’Olimpo e i suoi compiti, causando una terribile carestia. Di conseguenza, anche gli dèi non ricevettero più sacrifici votivi dagli uomini di cui erano tanto grati. Demetra si mise a peregrinare per il mondo travestita da vecchia, cercando così di soffocare la sua disperazione, sorda ai lamenti di dèi e mortali.
Zeus, allora, decise di intervenire: inviò Ermes, il messaggero degli dèi, nell’Oltretomba col compito di ordinare ad Ade di restituire Persefone alla madre. Ade non oppose resistenza e ubbidì. Il tranello era in agguato: Ade, infatti, prima che la sua sposa facesse ritorno sulla terra, offrì a Persefone semi di melagrana. L’ingenua fanciulla ne mangiò sei chicchi, non sapendo che chi mangia i frutti degli Inferi è costretto a rimanervi per l’eternità. Immensa fu la gioia di Demetra quando rivide la figlia, tanto che la terra ritornò fertile all’istante. Presto, però, Demetra scoprì l’inganno di Ade: avendo Persefone mangiato i semi di melagrana nel regno dei morti, era costretta a farvi ritorno. Ma dal momento che Persefone aveva mangiato solo sei chicchi, sarebbe rimasta nell’Ade per sei mesi, mentre i restanti sei sarebbe potuta tornare sulla terra. Demetra, allora, decretò che nei sei mesi che Persefone fosse stata nel regno dei morti, sulla terra sarebbe calato il freddo e la natura si sarebbe addormentata (dando origine all’autunno e all’inverno), mentre nei restanti sei mesi la terra sarebbe rifiorita (dando origine alla primavera e all’estate).
Il mito di Persefone ha sempre esercitato un notevole fascino su pittori e scultori, la maggior parte dei quali ha voluto immortalare il momento del rapimento della fanciulla da parte di Ade. Fra le innumerevoli interpretazioni artistiche di questo soggetto, due sono particolarmente amate e note: Il ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini e Persefone di Dante Gabriel Rossetti.
Il ratto di Proserpina, scultura in marmo di Carrara alta 255 cm esclusa la base (109 cm), fu realizzata tra il 1621 e il 1622 dall’allora ventitreenne Gian Lorenzo Bernini, su commissione del cardinale Scipione Borghese. L’opera si ispira a un passo delle Metamorfosi di Ovidio che racconta l’episodio del rapimento: «quando in un lampo Plutone la vide, se ne invaghì e la rapì». L’opera, come in tutta la statuaria del Bernini, rappresenta l’azione all’apice del suo svolgimento. Attraverso la gestualità e l’espressività dei volti si leggono le emozioni dei personaggi. Plutone guarda Proserpina con un’avidità suggerita dagli occhi profondamente scavati dall’artista. Proserpina, disperata, grida aiuto alla madre e alle campagne; il volto, solcato dalle lacrime, esprime terrore per la brutalità del suo rapitore. La fanciulla lotta inutilmente per sottrarsi alla furia erotica del dio che la trattiene con forza, affondandole le dita nella coscia e nel fianco: un dettaglio che rende perfettamente la morbidezza della carne di Proserpina, che rapisce lo sguardo stupefatto dell’osservatore e consacra Bernini genio indiscusso. Dietro Plutone, si riconosce Cerbero, il mostruoso cane a tre teste guardiano dell’Ade, intento a controllare che nessuno ostacoli l’azione del suo padrone.
La posa dei due è spiraliforme: un’espediente per meglio esprimere moto e dinamica. Esprimono dinamismo anche i movimenti degli arti e delle teste, dei capelli e del drappo che scopre il corpo della dea. La folta barba di Plutone, i riccioli dei suoi capelli così come quelli di Proserpina sono stati realizzati grazie a un generoso impiego del trapano. Anche se il punto di vista privilegiato è quello frontale, l’opera è leggibile da tutte le visuali, in quanto ciascun punto di vista è in grado di continuare la narrazione di questo capolavoro di scultura barocca ricco di pathos.
Altra opera celebre e molto amata raffigurante Persefone, è il dipinto eseguito nel 1874 da Dante Gabriel Rossetti, pittore e poeta britannico di origini italiane, padre fondatore della Confraternita dei Preraffaelliti. Di questa tela esistono ben otto versioni. Morta l’amata moglie e musa, l’eterea Elizabeth Siddal, Rossetti sceglie come modella per questo ritratto Jane Burden, moglie di William Morris.
Come lo stesso Rossetti spiega in una lettera, Persefone, sovrana dell’Oltretomba, è qui ritratta mentre posa in un oscuro corridoio della reggia. La dea ha un’espressione pensosa e uno sguardo intenso e penetrante; la folta chioma di capelli scuri mette in risalto la pelle diafana, mentre il rosso delle labbra carnose richiama il colore della melagrana che regge tra le mani, così come il blu degli occhi fa pendant col blu della veste che indossa. In basso a sinistra, sul muretto in primo piano, è posto un incensiere che allude alla natura divina e immortale di Persefone. Sul muro posteriore, invece, si inerpica un ramo di edera, simbolo della memoria che avvince. La scena è immersa nel buio, rischiarata soltanto da un quadrato luminoso alle spalle della dea simboleggiante la luce del mondo superiore, la quale filtra da un’apertura improvvisamente dischiusa. In alto a destra, un cartiglio riportata una poesia scritta da Rossetti, dedicata a Proserpina e alla sua infelice esistenza:
«Lungi è la luce che in sù questo muro
rifrange appena, un breve istante scorta
del rio palazzo alla soprana porta.
Lungi quei fiori d’Enna, O lido oscuro,
dal frutto tuo fatal che ormai m’è duro.
Lungi quel cielo dal tartareo manto
che qui mi cuopre: e lungi ahi lungi ahi quanto
le notti che saran dai dì che furo.
Lungi da me mi sento; e ognor sognando
cerco e ricerco, e resto ascoltatrice;
e qualche cuore a qualche anima dice,
(di cui mi giunge il suon da quando in quando,
continuamente insieme sospirando,) –
“Oimè per te, Proserpina infelice!”»
Il Ratto di Proserpina del Bernini è una di quelle opere che andrebbero toccate, sfiorate e accarezzate in ogni curva, in ogni piega della pelle e in ogni incavo della carne: perché io quando vedo questa scultura non vedo marmo bianco, ma vedo carne e sangue e ossa, vedo muscoli in tensione e lo scatto dei nervi intrappolato nell’eternità dell’opera d’arte.
Sono pienamente d’accordo con te. Grazie per questo tuo emozionante commento, cara Giulia :-*
Il mito di Demetra e Persefone sono fra le storie che ho sempre più amato…l’amore di una madre vince su tutto (nonostante l’inganno di Ade)…. la loro storia è anche riportata nell’oroscopo….Basti pensare alla Vergine, la Bilancia e lo Scorpione che simboleggiano in ordine Demetra, Persefone (la dualità e l’equilibrio dei piatti della bilancia…i sei mesi sulla terra e i sei mesi nell’ade) e infine Ade.
Vedere tutte le volte il ratto di Persefone del Bernini è un’emozione unica e indescrivibile….i particolari della mano sulla coscia e sulla vita sono sul serio geniali….senza parlare delle loro espressioni….sembra stiano lì sul punto di muoversi sul serio!
Non sapevo dell’oroscopo, perciò grazie Romina per questo tuo prezioso contributo, ma anche per questo tuo bel commento :-*