Nell’estate del 1935 Walt Disney è in Europa insieme al fratello Roy. Il viaggio non è solo di piacere in quanto il papà di Topolino è in cerca d’ispirazione per il suo prossimo lungometraggio animato tratto dalla fiaba Biancaneve dei fratelli Grimm. Betty Boop, personaggio dei cartoons, è stata scelta per prestare le sue fattezze alla candida protagonista. Bisogna ora dare un volto alla perfida matrigna, per cui è già stato deciso il nome di Grimilde, dalla sonorità tedesca e wagneriana.
In Germania, durante il tour europeo, Disney salta una delle tappe suggeritegli da un suo strettissimo collaboratore, Wolfgang Reitherman detto “Woolie”, tedesco emigrato negli Usa da bambino: si tratta del duomo di Naumburg, uno dei capolavori dell’architettura medievale germanica. Woolie è certo che lì, in una statua in particolare, Walt trovi l’idea che cerca per Grimilde.
La cattedrale – il più importante edificio del passaggio dal romanico al gotico di tutta la Germania e d’Europa – risale al XIII secolo e nelle cappelle absidali del coro custodisce le dodici statue in arenaria dei suoi fondatori e benefattori, nobili sassoni morti due secoli prima. Il complesso scultoreo fu eseguito tra il 1250 e il 1260 dal Maestro di Naumburg, uno di quei grandi artisti, rimasti purtroppo anonimi, che lavorarono nei cantieri delle cattedrali gotiche tra Francia e Germania. L’autore, che ovviamente mai vide i ritratti di queste persone, anziché idealizzarle volle caratterizzarle nell’espressione e negli atteggiamenti, tanto che ognuna di esse sembra avere un carattere e una personalità propria.
Fra loro c’è Uta degli Askani di Ballenstedt, moglie del margravio Ekkehard II di Meissen, raffigurata proprio accanto al marito. Lui è pingue, ha il doppio mento, lunghi capelli ricci e impugna con fierezza i simboli della sua condizione di guerriero: lo scudo con l’emblema nobiliare e la spada.
Lei stringe tra le mani il pesante mantello in cui è avvolta, come a proteggersi dalla fredda umidità della cattedrale. Il manto, dall’ampio bavero rialzato sulla nuca, le copre interamente il corpo lasciando intravedere la veste sottostante ornata da un prezioso medaglione. Il volto, incorniciato da un bianco soggolo orlato d’oro e sormontato da una tiara decorata di gigli, è incantevole: ha le sopracciglia arcuate, gli occhi a mandorla, il naso dritto e le labbra di un rosso carminio. Volge lo sguardo nella stessa direzione in cui guarda il marito, un punto indefinito e distante alla loro destra. È altera, regale, raffinatissima. Una bellezza mozzafiato, senza precedenti nella scultura romanica, che cattura e incanta lo sguardo di chiunque si aggiri sotto le volte della cattedrale.
Della vera Uta sappiamo pochissimo: nacque nell’anno 1000 nel castello di Ballenstedt, dal conte Adalberto di Ballenstedt e Hidda, erede di Odo I, margravio della marca orientale sassone. Sfuggì al rogo dopo aver affrontato un processo per stregoneria e all’età di ventisei anni, età non più giovanissima per l’epoca, sposò il quarantunenne margravio di Meissen Ekkehard II, trasferendosi così nel castello di Albrechtsburg, dove visse per oltre vent’anni. La coppia non ebbe figli e alla loro morte, causata da un’epidemia nel 1046, Ekkehard, ultimo degli Ekkehardinger, dovette lasciare il margraviato a Guglielmo III di Weimar. I coniugi furono sepolti nella cattedrale di Naumburg, accanto agli antenati di lui, ma in seguito le tombe furono rimosse.
A partire dal XIX secolo, con la nascita del sentimento romantico e del gusto per il revival medievale, Uta diventa un’icona, l’ideale femminile germanico, il simbolo della donna teutonica. Dal romanticismo ottocentesco al nazismo fino al socialismo di Erich Honecker, Uta incarna il prototipo della donna ariana, insieme di virtù etiche ed estetiche. La sua immagine in Germania è riprodotta e diffusa ovunque: sui libri, sulle cartoline, sui francobolli.
Lo stesso Walt Disney, che ha dimenticato di ammirare di persona la statua di Uta, ne ritrova la foto in uno dei tanti libri che porta dall’Europa, e alla fine decide di usare l’immagine della margravia per creare la sua Grimilde. «Era proprio bella, anzi impressionava e quasi raggelava…» dirà in seguito Walt. L’intuizione del suo collaboratore Woolie, quindi, si era rivelata esatta.
Grimilde e la margravia hanno lo stesso bellissimo volto circondato da una benda che ne esalta l’ovale, così come il diadema e il mantello con il bavero alzato. Solo le sopracciglia, sottilissime e arcuate, e gli occhi, verdi e malvagi, sono ispirati a quelli della conturbante attrice Joan Crawford, una delle più celebri dive hollywoodiane del momento. Nel settembre del 1935, durante il viaggio di ritorno negli Usa sul transatlantico France, Disney incontra un’altra diva del cinema, la tedesca Marlene Dietrich, alla quale racconta di questa sua idea che l’attrice appoggia entusiasta.
L’identificazione della Regina cattiva e persecutrice di Biancaneve con Uta, emblema della donna ariana bella e virtuosa, è invece mal digerita dagli uomini del Terzo Reich. Il lungometraggio, infatti, uscito nel 1937 e accolto in tutto il mondo con entusiasmo, è bandito dalla Germania di Hitler (nonostante quest’ultimo sia un grande ammiratore di Disney). Joseph Goebbels, ministro della propaganda nazista, motiva la scelta parlando di costi troppo elevati dei diritti e di un’opera artificiale, lontana dalla profondità dell’animo tedesco. Biancaneve e i sette nani sarà proiettato in Germania solo a partire dal 1950.
Grimilde, dunque, dal punto di vista storico e iconografico non è un personaggio di fantasia. Non sappiamo se Uta fosse splendida come l’ha immaginata il Maestro di Naumburg, né se fosse virtuosa come l’hanno idealizzata i tedeschi o vanitosa come la disneyana matrigna di Biancaneve che chiedeva ossessivamente allo specchio, servo delle sue brame, chi fosse la più bella del reame (dando per scontata la risposta). Quel che è certo è che la bellezza e l’eleganza scolpite nella pietra e a lei attribuite seducono chiunque in essa s’imbatti. Come Umberto Eco, fine esperto ed estimatore del Bello, che una volta ha dichiarato: «Tra tutte le donne della storia dell’arte, quella con cui andrei a cena è Uta di Naumburg.»