«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.
Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.»
Vladimir Nabokov
Lolita
Adelphi, 1996
Traduzione di Giulia Arborio Mella
Ho rimandato a lungo la lettura di questo discusso e indiscusso classico del Novecento che è Lolita di Vladimir Nabokov. Sapevo che raccontava la storia di un pedofilo, pertanto non mi entusiasmava affatto. Ora che questa lettura l’ho affrontata posso dire che solo una volta prima di essa mi era capitato di definire “capolavoro” un romanzo che era stato capace di suscitare in me emozioni esclusivamente negative. Quella volta è stato con Cime tempestose di Emily Brönte. Lo stesso è accaduto con quest’opera di Nabokov. In entrambi i casi, nonostante le “negative vibes” emanate, mi sono ritrovata difronte dei testi che, stilisticamente parlando, definirei magistrali.
In Lolita il protagonista, Humbert Humbert, è la voce narrante. È un professore di letteratura francese che vara verso i quarant’anni. Europeo, trapiantato negli Stati Uniti d’America nel secondo dopoguerra, ha alle spalle un matrimonio fallito e il ricovero in una clinica psichiatrica per esaurimento nervoso. Dice di essere un uomo bello e affascinante, è indubbiamente colto, fastidiosamente cinico. Prova una forte attrazione sessuale per le ragazzine dai nove ai quattordici anni che lui definisce “ninfette”. È perfettamente consapevole della sua perversione, imputandone l’origine a un trauma adolescenziale. Negli States conosce Dolores Haze. Lolita. Una dodicenne ribelle e spregiudicata che diventa la sua ossessione. Sarebbe disposto persino a uccidere pur di soddisfare il suo depravato desiderio di possedere la ragazzina. Il destino gioca a suo favore e Humbert inizia una squallida relazione sessuale con Lolita. L’epilogo sarà drammatico.
La prosa di Nabokov è superlativa, raffinata, forbita. L’autore ha avuto il coraggio di narrare l’inenarrabile; si è immerso nelle acque più torbide in cui è capace di sguazzare l’animo della bestia umana e ne ha riportato in superfice la lordura per mostrarcela in tutta la sua nauseante essenza.
Una lettura disturbante. Un libro iconico.
Kate Elizabeth Russell
Mia inquieta Vanessa
Mondadori, 2020
Traduzione di Linda Martini
Lo scabroso tema degli abusi compiuti da uomini maturi ai danni di ragazze minorenni viene affrontato anche in Mia inquieta Vanessa, romanzo d’esordio di Kate Elizabeth Russell. Il testo, pubblicato nel 2020, contiene numerosi ed espliciti riferimenti all’opera di Nabokov.
Se in Lolita la storia viene raccontata dal punto di vista del carnefice, in Mia inquieta Vanessa l’io narrante è la vittima, ossia Vanessa Wye. Vanessa è una trentaduenne statunitense che durante i primi anni Duemila – all’epoca in cui ha quindici anni e frequenta un prestigioso college – inizia una relazione con il suo professore di letteratura americana, Jacob Strane, di ventisette anni più vecchio di lei. Non si tratta, però, di una storia d’amore, in quanto Vanessa subisce da parte dell’uomo manipolazioni psicologiche e abusi sessuali. Un’esperienza che la marchierà a vita e le condizionerà l’intera esistenza, lanciandola in un vortice di confusione, sensi di colpa, dipendenza affettiva, umiliazioni, disordine e squilibrio dal quale solo la psicoterapia e la morte dell’uomo riusciranno a farla uscire. Forse.
Dell’autrice ho apprezzato lo stile fresco, il linguaggio schietto, la caratterizzazione perfetta dei personaggi e la capacità di mostrare la vicenda da tutti i punti di vista, nonostante il racconto sia in prima persona. Per affrontare correttamente questa lettura credo sia necessario avere empatia, mettere a tacere pregiudizi e stereotipi, non farsi prendere dalla smania di puntare il dito né di ergersi a giudici e mestrini di vita.
Questo romanzo mi ha fatto provare rabbia e disgusto ma anche e soprattutto tanta tenerezza per la protagonista. Ho pensato a chissà quante Vanesse vivono lì fuori, confuse e umiliate, incomprese e giudicate. Sopravvissute. Anime inquiete che ripiegano le ali ferite nel silenzio e nella solitudine del loro mondo interiore.
Una lettura devastante. Un libro necessario.