«In questo tipo di teatro ormai c’è la gara a chi scova le battute più volgari e cretine, pronunciate con accenti storpiati su misura per il pubblico di bocca buona che si scompiscia dal ridere a ogni nonnulla. A me, un imitatore che fa le voci degli animali, due buffoni che si tirano schiaffi scorreggiando o tre ragazze che si spogliano a ritmo di musica senza nemmeno provare a fingere di interpretare qualche naiade o ninfa, mi mettono tristezza. Eppure, è questa roba che oggi va per la maggiore. Sarò stata superata dai tempi? O sono questi tempi che vanno superati resistendo contro il cattivo gusto dei nuovi ricchi e l’imbarbarimento delle masse?»
Carmen Covito
Le ragazze di Pompei
Barbera, 2013
Nel corso di nuovi scavi archeologici a Ercolano è stato ritrovato un codice semicarbonizzato, costituito da circa cento fogli di materiale papiraceo e membranaceo: uno zibaldone frammentato e lacunoso, mutilato dalla lava e dal tempo, contenente appunti miscellanei tra cui ricette di cucina e indicazioni per la preparazione di medicamenti ginecologici. L’autrice del manoscritto è Vibia Tirrena, una giovane donna il cui padre possiede una libreria e un laboratorio di copisti nella città di Pompei. È questo l’espediente a cui ricorre Carmen Covito per presentarci questo suo romanzo come un Satyricon al femminile rinvenuto dagli studiosi. Ambientato nello stesso periodo neroniano dell’opera di Petronio, il testo racconta in prima persona le avventure di un’intraprendente matrona nella Pompei terremotata del 63 d. C.
Vibia Tirrena è una donna emancipata e colta: ha due mariti – dal primo ha divorziato, il secondo è omosessuale – e tre figli (nessuno dei quali è suo); attenta seguace dell’Epicureismo, appassionata lettrice di Lucrezio, Tirrena organizza spettacoli, aiuta il padre libraio nella bottega e insegna filosofia alle ragazze di Pompei. Ispirata probabilmente dai tìasi delle poetesse Nosside e Saffo, coltiva l’ambizioso progetto di istituire un’Accademia per Signorine, una scuola femminile dunque, che darebbe lustro alla città e, soprattutto, sottrarrebbe all’ignoranza le giovani pompeiane, favorendone così l’indipendenza sociale ed economica.
«E mi sono messa a spiegarle con un’enfasi disperata il mio progetto di Accademia per Signorine che, una volta instaurata, avrebbe dato lustro e rinomanza eterna alla cultura della città, anzi della Campania tutta. Una volta sottratte all’ignoranza e avviate alla salda padronanza delle virtù della filosofia, le ragazze di Pompei sarebbero diventate una luce, un faro, un sole capace di proiettare il suo splendore sull’universo mondo… insomma, quantomeno sul mondo femminile dell’Italia meridionale.»
Tra queste pagine troviamo Vibia Tirrena alle prese con la sua febbrile quotidianità popolata da zie politicanti, estetiste pettegole, avventori spilorci, vecchie conoscenze poco simpatiche, attori seduttori che alla prima occasione cadono nel pecoreccio, vestali dimissionarie in missione segreta e membri della sua bizzarra famiglia allargata che, tra l’altro, è bersaglio di scritte ingiuriose con cui una mano anonima imbratta i muri nottetempo.
Intellettuale e pragmatica, Vibia Tirrena ci conquista fin da subito per la pungente schiettezza e l’ironico cinismo con cui racconta la sua vita, ma anche per la pazienza e la generosità con cui l’affronta e si rapporta a coloro che la circondano e che incrociano il suo cammino.
Attraverso una prosa fresca e frizzante, Carmen Covito – autrice del bestseller La bruttina stagionata – confeziona un romanzo scoppiettante che vede protagonisti personaggi irresistibili. Da profonda conoscitrice della classicità, l’autrice ci restituisce uno spaccato della Pompei di età neroniana, perfettamente ricostruito e sorprendentemente attuale, in cui si ravvisano gli stessi comportamenti dell’odierna Italietta: appalti truccati, corruzione, clientelismo, pregiudizi, inciuci…
L’opera si conclude con una breve ma interessante dissertazione sulla qualità dei papiri.
Un testo sofisticato, divertente e istruttivo. Una lettura elettrizzante che ci proietta accanto a una vitalissima matrona per le strade di quella Pompei che, qualche decennio più tardi, la ferocia del Vesuvio avrebbe sepolto sotto una pioggia di cenere e lapilli.
Valeria Auricchio (una ragazza di Pompei 🙂)