Gibran sulle tracce di Gesù

«Un uomo al di sopra degli uomini, questo lui era, e i fiumi che scorrevano nelle fibre del suo essere cantavano all’unisono con potenza e passione.
Se la nobiltà consiste nel proteggere, era lui il più nobile degli uomini. Se la libertà è nel pensiero e nella parola e nell’azione, era lui, tra gli uomini, il più libero. Se testimoniano alto lignaggio un orgoglio che cede solo all’amore e un contegno altero che si mostra sempre amorevole, nessun uomo ebbe più alto lignaggio.»

Kahlil Gibran
Gesù figlio dell’uomo
Feltrinelli, 2013
Traduzione di Isabella Farinelli

Pubblicato nel 1928, Gesù figlio dell’uomo rappresenta il tentativo da parte di Kahlil Gibran di delineare la figura di Cristo. Un tentativo riuscitissimo il cui risultato è uno ritratto composito del Nazareno. Prendono la parola – in brevi monologhi ordinati nei settantanove capitoli che costituiscono l’opera – alcune delle figure chiave del Vangelo, come Maria Maddalena, Pietro, Ponzio Pilato, Caifa, e una serie di altri personaggi creati dall’autore come il farmacista greco Filemone, l’astronomo babilonese Melachi, l’abitante pompeiano Mannus… L’ultimo a parlare è un uomo del Ventesimo secolo che viene dal Libano, identificato con lo stesso Gibran.

Dalla lettura scaturisce la percezione che l’autore abbia voluto mettersi sulle tracce del Messia con l’intento di ripercorrerne la vita, la personalità e il messaggio e che l’abbia fatto interrogando coloro che lo hanno conosciuto: discepoli, ammiratori, amici, nemici.

Il linguaggio è poetico e testimonia la gioia che il Galileo ha portato nel cuore di chi ha avuto il privilegio di incontrarlo, ma si inasprisce quando a parlare sono i detrattori di Gesù: la durezza delle loro parole riflette l’odio ingiustificato che avvelena le loro anime.

Il Gesù che emerge da queste pagine non si discosta da quello dei Vangeli canonici: Gibran insiste nel sottolinearne la dimensione umana ma non può fare a meno di evidenziarne il carisma divino.

«E la voce del mare era nelle sue parole, e la voce del vento e degli alberi. E quando le pronunciò, la vita parlò alla morte.»

Per quest’edizione Feltrinelli, la traduzione è a cura di Isabella Farinelli che ha firmato anche l’interessante postfazione. Il testo è accompagnato da alcune delicate illustrazioni realizzate dallo stesso autore.

Una lettura emozionante, di quelle che elevano lo spirito.

Valeria Auricchio

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